Giovannino Guareschi
Giovannino Guareschi
(Fontanelle di Roccabianca-Parma, 1908 – Cervia, 1968)
Scrittore italiano tra i più conosciuti e tradotti all’estero, giornalista, autore satirico e sceneggiatore (basti ricordare la saga dedicata ai personaggi di Don Camillo e Peppone), Guareschi costituisce un pezzo della storia del costume italiano. Fierissimo conservatore, sostenitore dei monarchici prima delle elezioni per la Repubblica, è avverso alla sinistra e al Fronte popolare, pur provenendo da una famiglia di estrazione comunista. Critico nei confronti dei personaggi politici di qualsiasi bandiera, viene condannato e messo in prigione nel 1951 per offesa al presidente della Repubblica Einaudi e nel 1954 per diffamazione nei confronti di De Gasperi. Le sue vignette e i suoi articoli appaiono su numerose riviste, tra cui “Candido”, da lui fondata con Giovanni Mosca nel 1945 e diretta fino alla chiusura nel 1961. La mostra presenta una selezione di opere realizzate per questo settimanale, provenienti dal fondo della Regione Lombardia custodito dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori. Guareschi è stato lo scrittore italiano forse più letto e amato dal pubblico, ma anche il più contrastato dal potere politico e culturale. Infatti alla sua morte gli verranno tributati pochissimi riconoscimenti, rispetto alla reazione della critica estera. Le sue opere sono tradotte in quasi tutte le lingue del mondo: dalle più note fino all’islandese, al vietnamita, all’arabo ecc.
1° maggio 1908: a Fontanelle, l’infanzia
nasce a Fontanelle di Roccabianca (PR) Giovannino Oliviero Giuseppe Guareschi figlio di Lina Maghenzani, maestra elementare del paese, e di Primo Augusto, negoziante di biciclette, macchine da cucire e macchine agricole. La casa natale è anche sede della «Cooperativa Socialista» che, in occasione della «Festa del Lavoro», ha organizzato un comizio. Le bandiere rosse delle sezioni socialiste della Bassa si ammassano sotto le finestre di casa Guareschi. «quella mattina (…) ho il primo contatto diretto con la politica e la lotta di classe. (…) Il capo di quei rossi, Giovanni Faraboli, un omaccio alto e massiccio come una quercia (…) fattosi alla finestra di cucina, mi mostra agli altri rossi (…) spiegando loro che, essendo io nato il primo maggio, ciò significa che sarei diventato un campione dei rossi socialisti! (…) E anni e anni passeranno carichi di travaglio da questo primo maggio, ma intatto mi rimarrà nella carne il tepore delle mani forti di Giovanni Faraboli.»
1914 – 1924: a Parma e Marore, gli studi
la famiglia di Giovannino si trasferisce a Parma, in Vicolo di Volta Ortalli al numero 3. La madre maestra è stata trasferita a Marore, un paesino confinante con Parma e fa la spola tra la città e il paese. Il padre ha cambiato lavoro e vive commerciando con poca fortuna stabili e facendo il mediatore. Viene richiamato alle armi come operaio militare, e verrà congedato nel 1918. Giovannino viene iscritto nella Scuola elementare «Jacopo Sanvitale» dove frequenterà tutt’e quattro le classi (1914 – 1918). La sua chiesa – San Bartolomeo – è retta da don Pietro Zarotto.
1914-1918 «Scoppiata la guerra io rimasi solo con nonna Giuseppina poiché mio padre dovette mettersi in grigioverde e mia madre faceva la maestra in un lontano paese di campagna.»
1918-1919 «Ho dieci anni e sono costretto ancora a portare i capelli alla Bebè. (…) Mi prendono in giro tutti e ben presto la scuola diviene per me un incubo. (…) Passo le mie giornate nel greto del torrente. (…) Vengo bocciato. (…) Sono un bambino comune e faccio una gran fatica a seguire quello che spiegano i professori perché non provo nessun interesse per gli studi tecnici. (…) Mi lasciano finire l’anno e poi mi spediscono in collegio e mi rapano a zero, con mia grande soddisfazione (…) e incomincio da capo.»
1920 Giovannino viene messo nel collegio «Maria Luigiadi Parma e frequenta il Regio Ginnasio «Romagnosi». Il suo professore di greco e di latino è Ferdinando Bernini, traduttore della «Cronaca» di fra Salimbene de Adam e profondo conoscitore dell’umorismo europeo. Anche in lui, come in altri ginnasiali che diverranno illustri, imprime il marchio indelebile della curiosità intellettuale.
1921 La famiglia si trasferisce da Parma nel nuovo palazzo delle Scuole di Marore e Giovannino la raggiunge per i fine settimana e le vacanze.
1925: a Parma, la crisi La famiglia di Giovannino viene travolta da traversie economiche e, il 4 novembre, il padre viene dichiarato fallito. Questo influisce sul suo rendimento scolastico. giugno: giunge allo scrutinio finale con ottimi voti ma viene rimandato con 5 in latino e 4 in storia e geografia nell’esame d’ammissione alla 1ª liceo. Giovannino è in crisi. Cesare Zavattini – suo istitutore di pochi anni più vecchio che ne ha intuito le doti di irrefrenabile umorismo – deve scrivere, nelle note dell’ultimo trimestre firmate dal rettore, che è diventato«un caposquadra pericoloso».
«L’ultima nota rivela una mia improvvisa insofferenza per la disciplina e a causa de grossi disagi economici di mio padre modifico, negli ultimi mesi, il mio atteggiamento nei confronti della scuola. Mi capita più volte, come del resto a tutti gli altri membri della famiglia, tornando a casa per le vacanze, di dover dormire per terra e devo trascurare gli studi per costruire con le mie mani dei letti, delle sedie, una tavola, un buffet e una scrivania.»
Nell’estate va a ripetizione di latino da don Lamberto Torricelli, il parroco di Marore e a ottobre passa con due 8.
«Il mio vecchio parroco (…) assomigliava molto a don Camillo (…) mi allentava uno scapaccione e poi mi insegnava a fare il compito di latino.» ottobre: Giovannino, a causa del tracollo familiare, deve abbandonare il convitto «Maria Luigia» e frequentare il Liceo «Romagnosi» da esterno.
1927 – 1930: a Parma, la maturità classica, il giornalismo.
1928: inizia a correggere le bozze al Corriere Emiliano che, il 30 giugno, ha assorbito la Gazzetta di Parma.Continuerà fino al 1931 quando passerà redattore. luglio: ottiene la maturità classica.
17 maggio: inizia a collaborare al settimanale La Voce di Parma con articoli, poesie e disegni. Il primo articolo è la cronaca del viaggio degli universitari di Parma a Roma. Firma i suoi pezzi “Michelaccio”. Continuerà fino alla fine del 1930.
5 dicembre: viene assunto come istitutore al «Maria Luigia» (novembre – giugno 1930).
luglio: appaiono sul Tevere un suo pezzo firmato “Petronio” e le sue illustrazioni di cinque racconti brevi di Cesare Zavattini.
1931 – 1933: a Parma il giornalismo, la bohème.
1931: diventa aiuto cronista al Corriere Emiliano con una collaborazione fissa.Passerà poi cronista e infine capo cronista facendo articoli, cronaca, capicronaca, corsivetti, novelle, rubriche e disegni (anche politici). Si firmerà spesso “Michelaccio”. Nel giugno del 1935 sarà licenziato per esubero di personale.
«Viaggio su una orrenda bicicletta da donna che pare una centrale elettrica tanto è aggrovigliata di fil di ferro. Per non ungermi i pantaloni me li rimbocco fin sopra il ginocchio e pedalo alla diotifulmini” pestando sui pedali coi tacchi e tenendo le ginocchia in fuori.»
Si trasferisce da Marore a Parma nella soffitta di Borgo del Gesso n. 19.« prendo in affitto una stanza all’ultimo piano di una casupola di Borgo del Gesso. La casa fa pensare a una misera fetta di polenta ficcata, di taglio e all’impiedi, fra due mattoni.»
Conosce una giovane commessa di un negozio di scarpe in città, Ennia Pallini, che inizia a frequentare il suo “appartamento”. Ennia ha una splendida chioma rossa, occhi fiammeggianti e un carattere molto volitivo. Ennia sarà “Margherita”, la sua compagna, nel bene e nel male, nei suoi libri e nella vita.
1934 – 1936: a Potenza il militare, il gran salto per Milano.
1934, 8 novembre: parte per il servizio militare. Destinazione la Scuola Allievi Ufficiali di complemento di Potenza. Alla Scuola collabora al Numero unico Macpizero con «L’epistolario amoroso del soldato Pippo» (testo e disegni) e altre caricature.
1935, 10 maggio: torna a Parma in licenza in attesa di nomina ad aspirante ufficiale e inizia la collaborazione con disegni e pezzi al Secolo Illustrato. Continuerà fino al febbraio 1936.
settembre: inizia a collaborare a Cinema Illustrazione – diretto da Zavattini – dove pubblica, settimanalmente, un disegno fino a dicembre.
«Non abbiamo vissuto come i bruti. Non ci siamo richiusi nel nostro egoismo. La fame, la sporcizia, il freddo, le malattie, la disperata nostalgia delle nostre mamme e dei nostri figli, il cupo dolore per l’infelicità della nostra terra non ci hanno sconfitti. Non abbiamo dimenticato mai di essere uomini civili, con un passato e un avvenire.»
Le tappe della prigionìa di Giovannino
9 settembre 1943:viene fatto prigioniero dai tedeschi nella caserma di Alessandria. Il 13 parte dalla stazione di Alessandriae arriva a quella di Bremerwörde (D) il 18. Di lì, lo stesso giorno, a piedi, va nell’OFLAG XB di Sandbostel. Riparte a piedi il 23 per la stazione di Bremerwörde (D) da dove riparte subito e arriva il 27 alla stazione di Czestokowa (Pol.) e da lì alla NORDKASERNE STALAG 367. Il 12 ottobre viene condotto al Santuario di Czestokowa. Dalla NORDKASERNE STALAG 367 l’8 novembre vienecondottoalla stazione di Czestokowa da dove parte e arriva il 10 a Beniaminowo (OFLAG 73 – STALAG 333). Riparte per la Germania il 30 marzo 1944 e arriva alla stazione di Bremerwörde (D) il 1° aprile. Da lì, a piedi, viene condotto all’OFLAG X B di Sandbostel (D) il 2. Dall’OFLAG X B di Sandbostel (D) a piedi alla stazione di Bremerwörde(D) il 29 gennaio 1945 e riparte il 30 per l’OFLAG 83 di Wietzendorf (D) dove arriva il 31Viene liberato il 16 aprile e parte dall’OFLAG 83 di Wietzendorf per la cittadina di Bergen il 22. Dalla cittadina di Bergen(D)rientra nell’OFLAG 83 di Wietzendorf (D) il 1° maggio. Dall’OFLAG 83 di Wietzendorf (D). Verrà rimpatriato il 29 agosto e arriva a Parma il 4 settembre 1945.
1945, settembre: ritorna a Milano con la famiglia che era sfollata a Marore (PR) e occupa l’appartamento di Via Pinturicchio n. 25.
Lettera: ai miei compagni che non tornarono
Egli pensava che, questa notte, nel Lager nessuno guarderà il cielo del nuovo anno: pensa ai compagni che non sono tornati, ma che un giorno ritroverà. Sulle strade ferrate corre silenzioso un treno fantasma. E’ un treno che ha girato per tutte le strade ferrate di Germania, di Polonia, di Russia, di Jugoslavia e ha fatto sosta a tutti i campi di concentramento, ed è un convoglio che non finisce mai perché è il treno che porta le anime dei morti alla prigionia. Ora corre per le strade ferrate dell’Italia e si ferma soltanto quando c’è da caricare l’anima di un ex-prigioniero. E quando, fra cinquanta o sessanta anni , avrà caricato le anime di tutti i reduci, prenderà l’aereo binario che porta dove Dio vuole, e nessuno in terra lo vedrà più. Egli sa che un giorno il treno fantasma si fermerà alla stazione del suo paese, e anche lui salirà e troverà così i compagni perduti .
E, nell’attesa, si consola di ogni anno che passa.
G.Guareschi, Diario clandestino 1943-45
Istruzioni per l’uso
Accadde dunque che io, come milioni e milioni di altre persone, mi ritrovai nell’ultimo grande pasticcio che ha rattristato il nostro disgraziatissimo mondo. Adesso io non ricordo bene come siano andate le cose: chi partecipa a una guerra di solito ha un sacco di cose da fare nel piccolissimo settore a lui affidato, e non ha quindi la possibilità di aggiornarsi sull’andamento generale della faccenda. Perciò non sa se sta vincendo o se sta perdendo, e alla fine, non sa se ha vinto o perso la guerra. Inoltre il pasticcio risultò così grosso e complicato che oggi, a quasi cinque anni di distanza dalla fine, la gente sta ancora litigando per mettersi d’accordo su chi ha vinto e chi ha perso, su chi aveva torto e chi aveva ragione. Su chi erano gli alleati e su chi erano invece i nemici. Ci furono dei nemici, infatti, che si trovavano improvvisamente alleati, degli alleati che si trovavano nemici. E, alla parte esterna, si aggiunse la parte politica interna e l’annessa guerra che fece schierare i padri contro i figli, le mogli contro i mariti, il nord contro il sud, l’est contro l’ovest, tanto che lo storico obbiettivo che voglia effettivamente fare della storia onesta dovrebbe limitarsi e scrivere:”In un mondo di pazzi, i più pazzi furono vinti dai più pazzi”. Appunto perché gli uni erano più pazzi degli altri e gli altri erano più pazzi degli uni. Io, insomma, come milioni e milioni di persone come me, migliori di me e peggiori di me, mi trovai invischiato in questa guerra in qualità di italiano alleato dei tedeschi, all’inizio, e in qualità di italiano prigioniero dei tedeschi alla fine. Gli angloamericani nel 1943 mi bombardarono la casa,e nel 1945 mi vennero a liberare dalla prigionia e mi regalarono del latte condensato e della minestra in scatola. Per quello che mi riguarda la storia è tutta qui. Una banalissima storia nella quale io ho avuto il peso di un guscio di nocciola nell’oceano in tempesta, e dalla quale io esco senza nastrini e senza medaglie ma vittorioso perché, nonostante tutto e tutti, io sono riuscito a passare attraverso questo cataclisma senza odiare nessuno. Anzi, sono riuscito a ritrovare un prezioso amico: me stesso. Dopo di che uno capisce che uno come io, scritto il diario dovessi bruciarlo, nomi, fatti, responsabilità, considerazioni carattere storico e politico, tutto è stato bruciato. L’unica cosa interessante, ai fini della nostra storia, è che io, anche in prigionia conservai la mia testardaggine da emiliano della bassa: e così strinsi i denti e dissi:”Non muoio neanche se mia ammazzano”. E non morii.
G. Guareschi, Diario clandestino 1943-45
A cura degli alunni del Liceo Scientifico “M.Luigia” di Parma, IIIA-IIIB-IVB – Ricerca eseguita in occasione delle celebrazioni del 60° anniversario della Resistenza-